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Schopenhauer incomincia il suo capolavoro Il mondo come volontà e rappresentazione (1819), con la celebre affermazione: “Il mondo è mia rappresentazione” (I,1). Che cosa significa questa espressione? Leggiamolo dalle parole stesse di Schopenhauer: “Egli sa con chiara certezza di non conoscere né la terra, ma soltanto un occhio che vede un sole, e una mano che sente il contatto d’una terra; egli sa che il mondo circostante non esiste se non come rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo” (cfr. Il mondo come volontà e rappresentazione, I §1, trad. it. Milano, Mondadori, 1992, p. 31). Che il mondo sia una nostra rappresentazione, che nessuno di noi possa uscire da se stesso e vedere le cose per quello che sono, che tutto ciò di cui si ha conoscenza certa si trovi dentro la nostra coscienza, è la verità della filosofia moderna da Cartesio in poi, ed è una verità antica perché già detta nei Veda induisti.

 

Il mondo è dunque mia rappresentazione. Ora, la rappresentazione ha due aspetti necessari e inseparabili, il soggetto e l’oggetto. Da ciò segue che il materialismo è in errore perché nega il soggetto riducendolo ad oggetto cioè a materia, ma anche l’idealismo di Fichte è sbagliato perché nega l’oggetto riducendolo al soggetto; d’altra parte, Schopenhauer critica anche il realismo ingenuo, quando sostiene che la realtà esterna si rispecchia per quello che veramente è nella nostra mente.

 

Schopenhauer ritiene invece che la nostra mente, anzi più esattamente e concretamente, il nostro sistema nervoso e cerebrale funzioni inquadrando tutti i fenomeni in tre forme a priori: spazio, tempo e causalità.

Pur stando così le cose, il nostro intelletto non ci porta oltre il mondo sensibile.

 

Però, al di là del sogno e del fenomeno, vi è la realtà vera, sulla quale comunque l’uomo non può fare a meno di interrogarsi. Infatti l’uomo è un “animale metafisico”, e dunque, a differenza degli altri animali, è portato naturalmente ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita.

 

 

Infatti poiché noi siamo dati a noi stessi anche come corpo, non ci limitiamo a vederci dal di fuori, ma ci viviamo anche dal di dentro, godendo o soffrendo. Più che conoscenza e intelletto, noi siamo, per Schopenhauer, vita e volontà di vivere, cioè un impulso irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Il nostro stesso corpo non è che la manifestazione esteriore delle nostre brame interiori

 

Quali sono le caratteristiche della Volontà? Essa, essendo al di là dei fenomeni, non può essere legata allo spazio, al tempo e alla causalità. Essa è poi inconscia perché la coscienza e l’intelletto costituiscono soltanto una delle sue possibili manifestazioni (è tale solo nell’uomo): per cui essa non si identifica con la nostra volontà cosciente ma è, si ricordi, una sorta di energia o impulso, che, in questo senso, è presente dovunque, anche nella materia inorganica e nei vegetali.

 

Affermare che l’essere è la manifestazione di una Volontà equivale allora a dire che la vita è dolore per essenza. Se volere infatti significa desiderare, e desiderare significa essere in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere, la vita è per definizione assenza, vuoto, indigenza ossia dolore.

 

Il dolore però non riguarda soltanto l’uomo ma investe ogni cosa. Tutto soffre, dal fiore che appassisce all’animale ferito; e se l’uomo soffre di più è perché, avendo maggiore consapevolezza, è destinato a patire maggiormente l’insoddisfazione del desiderio e le offese dei mali. Per la stessa ragione il genio, avendo maggiore sensibilità rispetto agli uomini comuni, è votato ad una maggiore sofferenza. In tal modo, Schopenhauer perviene ad una delle più radicali forme di pessimismo cosmico di tuta la storia del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nel mondo ma nel principio stesso da cui tutto dipende.


da:

http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/txt/Schopenauer.htm

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